Carissimi Fratelli e Sorelle,
vorrei riprendere e concludere la mia ri- flessione – “Le grida di aiuto dei nostri giova- ni. Come interpretarle?
Come rispondere?” – che ho iniziato con voi un paio di settimane fa.
Innanzitutto, riflettendo sull’ultima enciclica di Papa Franceso, “Dilexit nos”, vi scrivevo che le tante provocazioni che riceviamo dai nostri giovani debbono stimolarci ad un “dialogo con il cuore”. È infatti solamente il cuore che può deter- minare un dialogo idoneo a costruire re- lazioni interpersonali al cui centro ci sia l’essere umano.
L’analisi
Tante volte, soprattutto in occasioni delle cresime, avverto i ragazzi sui perico- li insiti nell’avventurarsi nelle reti sociali senza una buona dose di prudenza. “Ai miei tempi, quando ero ragazzo io, corre- vamo in bicicletta. Certamente, nella nostra sconsideratezza, rischiavamo di cadere e di romperci la testa. Comunque, tutto si sareb- be risolto nel giro di qualche giorno con gar- ze, acqua ossigenata o tintura di iodio, nei casi più gravi. Invece voi ragazze e ragazzi di oggi correte sule autostrade virtuali attraver- so colpi di “click” che, di continuo, scocchiate sulle tastiere dei vostri pc. E i danni che po- tete causarvi sono ben più gravi di quelli che potevamo provocarci noi”. A tal proposito, in questa stessa rubrica, tre settimane fa, riprendevo una citazione di Papa France- sco: «Abbiamo creato un mondo liquido in cui l’essere umano ha smarrito il cen- tro di sé stesso». Quando il vivere diventa, innanzitutto, stare nelle reti sociali si può produrre una grande provvisorietà che si caratterizza “per un uso delle relazioni”,
piuttosto che per un “processo di costru- zione di relazioni”. Ecco il deterioramento a cui possono arrivare i nostri ragazzi: vi- vere negando principi fondamentali della dignità umana secondo i quali l’uomo è sempre un fine e mai un mezzo. Invece, ciò che deve caratterizzare i nostri com- portamenti è improntato a questa massi- ma: “Agisci in modo che ogni tuo atto sia degno di diventare un ricordo.” (Imma- nuel Kant)
La nostra risposta
La pratica del “dialogo con il cuore”, che inevitabilmente richiede attesa e pa- zienza, e la rinuncia ad affermare in modo pregiudiziale il proprio punto di vista, ci permette di entrare nell’importantissima dinamica dell’ascolto e della condivisione con le nostre ragazze e i nostri ragazzi, e di poterli aiutare a scoprire la bellezza di relazioni genuinamente umane.
Papa Francesco insegna che: «Una volta ascoltato il giovane con cuore puro, riusciremo anche a parlargli “seguendo la verità nell’amore” (cfr Ef 4,15)». Siamo a un punto che ci deve far sentire tutti coin- volti anche se, principalmente, penso ai genitori: abbiamo il dovere di proclamare la verità ai nostri ragazzi e ragazze, finan- che quando significhi dire degli scomodi “no”, ma sempre con carità, cioè sempre con il cuore. Perché «il programma del cristiano – come scriveva Benedetto XVI – è “un cuore che vede”». Un cuore che, con il suo palpito, rivela la verità viene ascoltato senza sforzo perché conduce l’a- scoltatore a identificarsi con i sentimenti di chi parla. Ed è proprio a questo punto che avviene il miracolo dell’incontro tra noi ed i nostri giovani perché saremo in grado di accoglierli con le loro fragilità e paure, ma sempre con rispetto, senza ca- dere nella tentazione di giudicarli sull’on- da dell’impulsività, come spesso succede,
Un patto educativo al dialogo del cuore
aumentando il solco delle incomprensioni e delle divisioni fra noi e loro.
È questo il fondamentale impegno educativo a cui sono chiamati famiglie, scuola, chiesa, movimenti e associazioni culturali, sportive e ricreative.
Mi permetto, però, di enfatizzare che è soprattutto la scuola a dover riconquista- re la sua funzione educativa. Mi sembra evidente che in questo momento sono gli stessi ragazzi, con le loro grida di aiuto, a chiedere di andare oltre la separazione tra intelletto e sentimento. Divisione che, solitamente, è utilizzata per la trasmis- sione del sapere tecnico e scientifico ma che, quand’è affrancata dal dialogo con i ragazzi, può ingenerare l’assolutizzazione della razionalità e consolidare quella ne- cessità fisiologica in “un mondo liquido in cui l’essere umano ha smarrito il centro di sé stesso”. Il rischio, allora, è quello di voler far prevalere le proprie idee su quel- le altrui, esiliando l’arte dell’incontro, del dialogo e la sfera “nascosta” dell’affettività ai margini della vita quotidiana. Ritengo fondamentale che anche la scuola, come qualsiasi altra realtà e agenzia educativa,
debba assumersi l’impegno di formare le giovani generazioni al dialogo del cuore.
Da più parti, di fronte ai diversi epi- sodi di violenza giovanile che sempre più spesso stanno interessando le cronache, si costituiscono tavoli di dialogo in cui affrontare il problema. Certamente, essi sono necessari e auspicabili, purché si sia coscienti che solo il “dialogo con il cuore” può aiutarci – noi e i giovani – a diventare più umani e più vivi. Riflettere sul come educare al “dialogo del cuore” significa domandarsi come educare a riconosce- re lo Spirito presente e agente nell’altro: impegniamoci in questo riconoscimento reciproco. Solo questo dialogo, infatti, so- stiene la crescita umana, affettiva e sociale dei dialoganti. Il “dialogo del cuore” non è solo uno strumento di relazione, ido- neo a regolare contese, ad affermare idee o magari a ribadire errori, ma è la via di accesso più dignitosa e pacifica al mistero del nostro essere persone, al significato del nostro esistere.
Di cuore vi benedico,
+ Francesco, Arcivescovo