Alcuni dei ragazzi torneranno a casa, altri trascorreranno il Natale nella struttura

Autenticità

Un Natale «bello ma difficile» quello che attende i ragazzi che vivono in comunità. A spiegare gli stati d’animo della vita in una struttura di recupero per le dipen- denze è don Donato De Blasi, della coo- perativa Berta ’80. L’arrivo delle feste è un momento di gioia, ma è anche il tempo in cui chiunque vorrebbe passare degli attimi in compagnia della propria famiglia. Alcune delle persone in cura potranno farlo, altre, invece, no. I sentimenti sono quindi contrastanti. Dei 17 ragazzi in cura, circa la metà dovrà restare in comunità. «La festa di Natale sicuramente risveglia dei sentimen- ti buoni nell’animo della persona – spiega don Donato -. Ovviamente sappiamo che molti di questi ragazzi non sono praticanti, alcuni non sono neanche cattolici. Ma il sentire resta. Nella nostra struttura sono in cura anche due musulmani e un cristiano ortodosso: una presenza variegata che co- munque non impedisce di vivere i valori del Natale nella stima e nel rispetto. Sono questi i capisaldi dell’accoglienza. Il fatto che la cooperativa sia guidata da un sacerdote porta, naturalmente, a riflettere sui conte- nuti religiosi della festività del Natale. Il più importante è quello dell’amore di Dio, che abbraccia ogni persona al di là delle proprie esperienze, in questi casi spesso negative. Quello che si porta avanti nella comunità è proprio questo. Un senso di accoglienza rivolto a tutti, che deve permeare anche le persone in cura: l’accoglienza tra loro e l’accoglienza di loro stessi. Imparare a fare questo è il primo passo di un cammino condiviso di liberazione dai legami con le droghe, con l’alcool e con gli altri tipi di dipenden- ze. Un cammino che si sublima attraverso la fede e l’amore verso Gesù. Un messaggio di amore che vale per tutti».

Il clima natalizio sta intanto contagiando tutti. «La pienezza dell’amore di Cristo sta pervadendo tutti, ed è la gioia a cui ogni cristiano dovrebbe tendere. Da questo punto di vista i ragazzi stanno capendo: stanno allestendo il presepe, dentro e fuori con le luci. Il messaggio del Natale è per tutti e, per chi è in cura, è una spinta che aiuta a liberarsi della cappa di dipendenza che li ha rinchiusi. L’amore e l’accoglienza contro la sofferenza e il buio che hanno vissuto. Questi sono gli aspetti positivi delle feste. Poi ci sono anche quelli negativi».

Quello a cui si riferisce don Donato è la distanza dai luoghi del cuore. In particolare, per questi ragazzi, Natale significa anche non poter rivedere i propri cari come tutti noi. «Ovviamente i sentimenti di gioia fan- no da contraltare alla grande amarezza e alla grande sofferenza causata dalla mancanza della famiglia – prosegue -. È una dolorosa necessità, in alcuni casi per il semplice fatto che il loro percorso di riabilitazione sia an- cora nelle prime fasi, quelle più a rischio. In altri, invece, deriva semplicemente dai rap- porti deteriorati con i familiari a causa delle dipendenze. Nei casi più estremi i legami sono stati addirittura troncati. Qui, oltre che sull’aspetto della dipendenza patologi- ca, si lavora anche sulla “ristrutturazione” dei rapporti con i parenti per portare a una pacificazione. Il Natale è il momento in cui le ferite ancora aperte bruciano di più e in questi casi l’unica soluzione è restare qui, lontani dai propri affetti e dai luoghi di origine. Attenzione, però. Questo non si- gnifica isolamento totale: genitori e parenti possono venire in comunità e passare qual- che ora insieme. Noi cerchiamo di incenti- vare questi incontri, sappiamo quanto sia importante ricucire questo tipo di legami nell’ottica della guarigione».

In questo contesto, il Natale in comu- nità è esattamente come fuori. Si sta insie- me, come in una sorta di famiglia allargata. «Faremo il giro dei presepi, il giro in città la domenica – continua don Donato -. Quelli che resteranno non sono prigionieri. Cerchiamo invece di alleviare il loro isola- mento e il loro dolore. Ci sarà il pranzo di Natale, una bella uscita, i giochi, la tombo- la. Qui siamo come in una grande famiglia,

ognuno ha i suoi ruoli e le sue competenze, la sua dignità e la sua importanza. Sono convinto che anche chi rimane non sarà dimenticato: non saranno giorni tristi, ma giorni in cui riscoprire la bellezza di stare insieme, seppur non con la propria fami- glia».

La possibilità di tornare o meno a casa per le persone in cura all’Opera Pia Miliani dipende da una serie di fattori, diversi a seconda del fatto che ciascuno stia scontando una pena detentiva alternativa al carcere o più semplicemente un percorso di guarigione dalle dipendenze patologiche. «Nel primo caso qualcuno può avere il permesso, qualcun altro no – spiega don Donato -. Per il percorso riabilitativo dipende da una serie di fattori, come ad esempio il tempo trascorso dall’inizio della terapia. Se il pro- gramma è verso le fasi finali e il ragazzo ha dato segnali positivi di distacco dalle sue dipendenze e di capacità di affrontare la vita con razionalità e con impegno, allora si chiede al magistrato il permesso per far trascorrere qualche giorno con la loro famiglia. È una prassi che non riguarda solo il Natale, anche se in questo periodo dell’an- no lo riteniamo ancor più necessario. È una sorta di verifica: dobbiamo sapere e toccare con mano se e quanto il ragazzo sia veramente libero dalla dipendenza e quanto sia in grado in futuro di andare avanti con le sue forze.

Don Donato conclude illustrando il calendario delle festività alla Croce Bianca. «Faremo una cena prima delle partenze dei ragazzi in permesso, quando saremo ancora tutti – illustra -. Inviteremo anche l’Ar- civescovo e il sindaco. Sarà un momento di comunione fraterna, tutti insieme. Poi sarà la volta della cena di Natale vera e propria: il 24 e il 25. Ci saranno naturalmente i volontari e gli operatori. Sono occasioni in cui i ragazzi avvertono la vicinanza dei volontari, la presenza di persone che hanno a cuore la loro vita. Persone che non li giudicano per il loro passato ma li sostengono nel loro percorso di rinascita. Questo è il vero spirito del Natale».

Le testimonianze

È un Natale a due facce quello che sta arrivando all’Opera Pia Miliani di San Severino Marche. Tra i ragazzi in cura c’è chi potrà tornare a casa e chi, invece, dovrà re-stare in comunità. Alcuni dei ragazzi sono ancora alle prese con la fase più critica della loro guarigione dalle dipendenze, altri stanno scontando una pena detentiva. In ogni caso, tornare a casa e passare le feste con la famiglia è un dono che non è riservato a tutti. Tra chi resterà a Berta c’è D.. Lo avevamo già incontrato qualche mese fa. Al nostro arrivo è già fuori, nonostante il freddo. Come al solito c’è molto da fare: lui è tra quelli che stanno allestendo il presepe all’aperto, con le luci a led. Passando dalla statale 361 si può vedere il suo lavoro. «Sono già stato in permesso – racconta -. Ho passato qualche giorno a casa con la mia famiglia. Mia moglie sarebbe partita per lavoro, verso il Piemonte. Quindi non avremmo potuto comunque passare il Natale insieme. Per questo ho richiesto l’uscita con qualche settimana d’anticipo. A conti fatti questo è il mio terzo Natale lontano da casa: due anni fa ero in carcere, l’anno scorso qui. Anche quest’anno sarà così. In un certo senso l’atmosfera sarà simile: è come un cenone di famiglia allargato. Potremo andare a dormire un po’ più tardi, ci sarà la tombola e staremo insieme in sala comune. Quando potrò tornare a casa davvero? Se tutto va bene tra qualche mese. Mi sento bene ora, presto sarò a casa e forse mi tra- sferirò cercando lavoro al nord. Vedremo».

Racconta tutto questo dopo aver acce- so il caminetto nella sala ricreativa. Con lui c’è anche S., un altro dei ragazzi in cura. Per lui è la prima volta alla Croce Bianca. Ha già girato diverse comunità, a Brescia e anche alla Pars di Corridonia. Ha 29 anni e sta cercando di disfarsi del demone della cocaina. «Ho girato diverse comunità, ora sto aspettando la condanna per un furto che ho commesso e intanto sto facendo il mio percorso qui – racconta -. Credo sia la migliore comunità dove mi sia capitato di vivere. In altri luoghi non sono permesse le visite, le telefonate. Le punizioni sono pe- santissime. Qui invece si riesce a vivere. C’è molto da fare e piano piano ricostruiamo la nostra vita. Io potrò andare a casa per Natale. Vivo vicino ad Urbino e passerò lì un paio di giorni. Sono felice, forse ci sarà anche il mio fratello maggiore che vive all’estero. Piano piano provo a ricominciare: ho lavorato saltuariamente, ho fatto un po’ il cuoco. Ora cerco di rimettermi in sesto, non è semplice ma ce la devo fare».

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